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The Palace Recensione Film

sguardo della mucca che vede passare il treno. Encefalogramma piatto. Diretto da Roman Polanski e sceneggiato da Jerzy Skolimowski, due mica lì di passaggio. Luca Barbareschi, attore e produttore (?), se l’è molto presa con la critica che ha massacrato il film (passato a Venezia fuori concorso) paragonandolo ai Vacanze di Natale. Ora, Barbareschi non ci è mai stato simpatico e di norma non concordiamo con quello che dice, ma nemmeno la critica ci sta molto simpatica e anche con essa concordiamo di rado. Il punto è che The Palace merita di essere massacrato ma non di essere paragonato ai cinepanettoni. Con i cinepanettoni infatti non ha molto da spartire, se non che c’è un hotel ed è capodanno. Ma dei cinepanettoni non possiede la scurrilità, la demenzialità, il cattivo gusto. Non ne possiede nemmeno la sciatteria produttiva, né la dozzinalità artistica. Il che, a conti fatti, potrebbe anche essere un difetto perchè se avesse svaccato per davvero, avesse osato il tutto per tutto, avesse spinto fino in fondo il pedale del politicamente scorretto, magari ci avrebbe fatto schifo uguale ma quantomeno ci avrebbe colpito, quantomeno non ci avrebbe lasciati indifferenti (ci vengono giusto in mente i Fratelli Farrelly, a tal proposito). L’unica cosa che invece ci ha disgustato sul serio è la citazione da Chinatown, una forzatura autocelebrativa gratuita e fuori luogo, così come fuori luogo è la recitazione sgangherata di Barbareschi che essendo anche produttore avrà preteso di far parte del ricco cast (e non c’entrano il trucco e parrucco perchè anche Mickey Rourke è conciato da scemo ma i risultati sono ben diversi). Al contrario, The Palace non perde mai l’aplomb, rimane sempre entro i binari del lecito, mantiene sempre un certo decoro, un suo senso estetico. Il modello piuttosto sembrerebbe quello della festa sulla nave di Triangle of Sadness o de L’ultimo capodanno, se non fosse che in quelli il canovaccio si basa su un escalation in cui gli eventi degenerano fino ad esplodere, un apoteosi dopo la quale si verifica o il totale annientamento degli astanti oppure una catarsi salvifica. The Palace invece mette in scena una serie di gag più o meno riuscite (più meno che più), una serie di siparietti più o meno comici (più meno che più) con al centro personaggi bizzarri composti, per la maggior parte, da vecchi ricconi sfatti e patetici, e poi, ad un certo punto, semplicemente, finisce. Non c’è climax, non c’è parabola, non c’è morale. Si avverte anche una discrepanza di registri, più che sospetta, tra personaggi che sono volutamente delle caricature ed altri che continuano a muoversi e a comportarsi dentro un contesto realistico (vedi Oliver Masucci). L’ultima inquadratura è la ciliegina sulla nostra già ampia perplessità. Forse siamo noi che non l’abbiamo capito. Forse ha ragione Barbereschi e lo capiremo tra vent’anni. O forse a novanta primavere suonate – si veda anche l’ultimo, ingrato, lavoro di Liliana Cavani – bisognerebbe solo smettere di fare film. (La recensione del film “The Palace” è a cura di Mirko Nottoli)