– DIES IRAE di Carl Theodor Dreyer (Ieri, Oggi e Domani)


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Il quarto film sonoro del Carl Theodor Dreyer, “Dies Irae” è anche considerato come una delle massime espressioni dell’arte dell’autore. Il celebre cineasta danese con questo film si mette alla prova mostrando una storia a sfondo mistico

Dies Irae Recensione Analisi Critica

Dies Irae Recensione Analisi Critica

religioso, ma ricavandone una sorta di inno al libero arbitrio. Il risultato che ottiene con “Dies Irae” è quello di portare sullo schermo un’opera rivoluzionaria in grado di mettere di fronte allo spettatore la cosiddetta critica sociale. La storia è ambientata nella Danimarca del 1623 e il protagonista è il pastore di una piccola comunità, Absalon Perderssön, sposato con la giovane Anne. Intanto Marte Herlofs, un’anziana accusata di essere una strega, evita il linciaggio rifugiandosi in casa di Absalon. Qui, prima di essere messa al rogo, rende cosciente Anne delle sue ascendenze da strega. Anne, intanto, oltre a mostrare interessi per le arti magiche, si lascia andare all’amore per Martin, il figlio avuto da Absalon nel suo primo matrimonio. Per questo motivo, però, verrà accusata e condannata dall’anziana madre del pastore, scomparso nel momento in cui viene a sapere della relazione tra i due. Quella che si vede in “Dies Irae”, a differenza del precedente “Vampyr” dello stesso autore è sicuramente una tecnica più teatrale. In generale si può definire questo film come la sintesi più riuscita di molti aspetti della poetica e dello stile di Carl Theodor Dreyer. Dallo sfondo culturale religioso, in questo caso più esplicito del solito alle tematiche. C’è la colpa, il castigo e il libero arbitrio che si alternano e si scontrano al centro dell’opera, portando lo spettatore a riflettere su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Nonostante la breve durata, però, il film ha una narrazione dal ritmo molto lento, quasi esasperante con movimenti di macchina ridotti al minimo. Tutto questo, insieme alla recitazione e all’assenza di particolari elementi in grado di attirare l’attenzione, contribuisce a una reazione del pubblico non troppo entusiasta che potrebbe non comprendere completamente l’intento e il “fascino” del lungometraggio. Dreyer, invece, utilizza questi aspetti proprio perché funzionali a un qualcosa che può (e deve) descrivere al meglio l’essere umano nella sua essenza. Sono tanti gli elementi da prendere in considerazione e da sviscerare per analizzare al meglio quest’opera che, in poco più di un’ora e mezzo, condensa il cinema e soprattutto il cinema di Dreyer. Tra questi elementi anche la prevalenza delle riprese in interni volta principalmente a sottolineare un senso di oppressione che si avverte nei personaggi e nell’atmosfera in generale, chiusa e quasi claustrofobica. Per questo motivo, infatti, gli spazi più aperti, quasi anomali nel contesto generale, sembrano quasi prendere l’aspetto di nemici o comunque di qualcosa di ostile. Se prima, tra i temi principali, abbiamo citato castigo, colpa e libero arbitrio, non possiamo non menzionare anche il ruolo centrale della figura femminile che già aveva destato l’interesse dell’autore con il suo “La passione di Giovanna d’Arco” e che qui torna prepotentemente al primo posto. Si tratta di una figura costretta a soffrire a causa di ciò che la circonda, una realtà che la opprime e la rinchiude come in una prigione dalla quale non può in alcun modo fuggire. C’è, però, anche chi legge e ha letto questo film e questo ruolo centrale (e controverso) della figura femminile come una sorta di allegoria, il simbolo e il richiamo all’oppressione tedesca e nazista che aveva colpito la Danimarca. Nonostante il film sia ambientato nel 1600 si possono notare richiami al periodo storico contemporaneo del regista e della realizzazione dell’opera stessa. Ma non solo. Oltre al dominio nazista e all’oppressione della guerra, c’è anche un’altra possibile chiave di lettura di “Dies Irae”: l’espressionismo. Un movimento che aveva suscitato grande interesse e curiosità nel regista e che, in qualche modo, più o meno evidente, l’autore ha voluto inserire nelle sue opere, come a farne un marchio di fabbrica. Sicuramente Dreyer è un autore che instaura fin da subito un collegamento con questo movimento artistico, ma lo fa soprattutto con i suoi primi film, muti e che, proprio per questo, conferiscono al regista una

Dies Irae Recensione
Una scena del film “Dies Irae” di Carl Theodor Dreyer – Recensione

plasmare a suo piacimento l’elemento visivo e giocare con esso e con lo spettatore. Il film, in realtà e a differenza di quello che molti ritengono, è basato su un’opera norvegese del 1908 che il regista aveva adocchiato molto tempo prima, pensandola fin da subito in ottica cinematografica. E c’è anche una sorta di intento moralista, un film che invita lo spettatore a riflettere non solo su cosa sia il bene e cosa il male, ma anche da dove provengano l’uno e l’altro. Per questo c’è anche chi lo considera una riflessione più alta che tocca anche la religione. In ultima analisi anche la scelta degli attori non è casuale, ma anzi è improntata a uno sguardo più “pittorico” del film. Se da una parte c’è il duro Thorkild Roose, attore di teatro con alle spalle un’importante esperienza che lo porta a recitare con un certo rigore e una dizione precisa, dall’altra parte c’è il personaggio di Anne, al quale presta il volto Lisbeth Movin, con poca esperienza di cinema e di recitazione, ma che ben si congegnava con la scelta adottata da Dreyer per “disegnare” il personaggio. Un film, quindi, che, come detto, nel momento dell’uscita non ebbe grande successo di pubblico, ma che, nel giro di poco tempo, è diventato un pilastro del cinema e ancora oggi è tra i titoli da non perdere. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (Analisi critica del film “Dies Irae” a cura di Veronica Ranocchi)

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