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Steve | Recensione | Poster

Tratto dal bestseller Shy di Max Porter (edito in Italia da Sellerio), Steve segna una scelta significativa del regista, che cambia il titolo del romanzo e ne ribalta il baricentro narrativo: al centro non c’è più soltanto Shy, ma anche Steve, suo insegnante e alter ego emotivo.

Siamo a Stanton-Wood, in una scuola del Regno Unito che accoglie adolescenti con gravi fragilità comportamentali. L’istituto, ormai fatiscente e prossimo alla chiusura per mancanza di fondi, diventa oggetto di un documentario: una troupe televisiva entra tra le sue mura per registrare interviste a docenti, collaboratori e studenti. Primissimi piani, camera a mano tra i corridoi, microfoni che catturano confessioni e frammenti di sogni: l’insieme restituisce l’impressione di un reality, di cui gli anni Novanta rappresentano ancora la soglia ingenua e sperimentale.

Tim affida all’occhio digitale lo sguardo dei ragazzi e la loro voce, che racconta un mondo sospeso tra educazione e reclusione, più vicino a un riformatorio che a una scuola di reinserimento.

Shy è uno di loro: «annoiato e stufo di parlare». Steve, il preside, confessa di essere «stanco, molto stanco». Le loro vite scorrono in parallelo: il dolore di Shy, giovane che ha aggredito il patrigno e vive il rifiuto della madre, è un dolore istintivo, generoso; quello di Steve, segnato dal senso di colpa per un incidente stradale in cui è morta una bambina, è un dolore trattenuto, offerto al mondo a caro prezzo, sottratto al tempo per la moglie e le figlie.

Stanton-Wood diventa così la scuola del dolore, il rifugio delle grida di rabbia. I ragazzi cercano un ritmo vitale nella techno martellante che esplode dalle loro stanze; gli adulti, invece, si aggrappano alla speranza come a un bicchiere di vino condiviso in una riunione di staff.

Il tema della salute mentale — tra errore e destino — è affrontato da Tim Mielants con la forza di un fiume che straripa: tra Shy e Steve si crea un intreccio di personalità, uno scambio di ferite, una solidarietà disperata che li spinge a salvarsi a vicenda, prima che sia troppo tardi.

La passione di Steve è travolgente e precaria, ma anche autentica: la chiave fragile di una cura possibile. È il gesto di chi rischia sé stesso per l’altro, in un mondo che non ammette più la debolezza.

«C’è così tanto… resisti» — è la voce registrata di Steve, un sussurro che diventa promessa: un filo di speranza per sé, per Shy, per chiunque viva l’urto muto del dolore. «Non sempre sarà così… c’è qualcosa d’altro, un’infinità di cose, di tempo, d’amore… qualcuno che non hai ancora incontrato». (Steve | Recensione del film Netflix a cura di Rita Ricucci)

Trama: Steve, il film Netflix diretto da Tim Mielants, segue le vite intrecciate di Steve (Cillian Murphy), il preside di un riformatorio, e di Shy (Jay Lycurgo), un adolescente problematico ospite della struttura. Steve, mentre lotta per mantenere in piedi la scuola e per salvaguardare il suo benessere mentale, si trova a fare i conti con le difficoltà quotidiane della sua professione. Nel frattempo, Shy, segnato da un’esistenza difficile, affronta le proprie fragilità emotive. Diviso tra il suo oscuro passato e un futuro incerto, scappa dal college e vaga nella notte, ascoltando le voci nella sua testa: quelle dei suoi insegnanti, dei genitori, delle persone che ha ferito e di chi, invece, cerca di amarlo. Il racconto esplora il conflitto interiore, la lotta e la speranza di una redenzione difficile da conquistare…

Il Film Steve di Tim Mielants è disponibile in Streaming su