28 ANNI DOPO, la recensione del film di Danny Boyle


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La recensione del film 28 anni dopo a cura di Mirko Nottoli. 28 giorni, 28 settimane, 28 anni. E i mesi? Si son domenticati i mesi. 28 anni anni dopo anche se gli anni, in verità, sono 23. Era infatti il 2002 quando uscì nelle sale 28 giorni dopo, film rivelazione che si impresse nella mente di tutti noi per la forza evocatrice delle immagini. Danny Boyle era già il regista di culto di Trainspotting che, con 28 giorni dopo, si misurava con un film di genere, un horror (avrebbe fatto la stessa cosa con Sunshine per la fantascienza) confermandosi per la forza visionaria come uno dei registi più interessanti di quel momento.

28 anni dopo | Recensione | Poster

28 anni dopo | Recensione | Poster

Il prosieguo della carriera è avvenuto nei successivi 23 anni tra alti e bassi, non sempre mantenendosi all’altezza delle aspettative. Sarà forse per questo, per tentare di rinverdirne i fasti, che ha sentito la necessità di tornare ai capisaldi, prima girando il sequel di Trainspotting, T2, e poi quello di 28 giorni dopo, il qui presente 28 anni dopo (28 settimane dopo, ricordiamolo, non è di Danny Boyle), scritto, come il primo, da Alex Garland. Un sequel che non è un sequel bensì un film profondamente diverso in cui cambia tutto, approccio, atmosfera, personaggi, contenuti.

28 anni dopo è un film complesso, profondo, stratificato, forse anche scoordinato, a tratti disordinato, in cui si alternarnano registri differenti, anche dal punto di vista estetico, non sempre coerenti, non sempre ben amalgamati, dove si passa in maniera più che disinvolta dall’horror al sentimentale, dall’epica al demenziale, dal lirismo all’action, da scene strazianti (vedi la scena del parto) ad altre che lasciano titubanti (come la sequenza dei militari).

Ed è un film dove ritroviamo tutti i temi cari ad Alex Garland, film intriso di politica, di attualità, di echi che rimandano alla drammatica situazione internazionale che stiamo vivendo. Al centro c’è una comunità che per difendersi dagli zombie si è chiusa in se stessa, si è ritirata dal mondo e per questo dalla vita.

Come spesso accade però, i veri pericoli non sono quelli fuori, come crediamo, ma quelli dentro e sono più vicini di quanto possiamo immaginare, sono già dentro di noi e non ce accorgiamo. I buoni non sono sempre i buoni, quelli che si pongono come tali nascondono insidie più subdole e meschine rispetto ai cattivi che, bene o male, si affrontano a viso aperto.

Così è il personaggio di Aaron Taylor Johnson, perfetto quando c’è da indossare la camicia di flanella a quadrettoni da redneck americano, buon padre di famiglia che si diverte a uccidere senza motivo, se non per un ottuso senso di rivalsa (contro chi, poi?), anche a costo di mettere in pericolo i suoi stessi cari.

E’ in questa comunità, bigotta, esaltata e disumanizzata, che cresce il ragazzino protagonista (Alfie Williams) di un racconto che si rivela essere nient’altro che un grande romanzo di formazione, un coming of age in cui il giovane dovrà superare numerose prove di iniziazione, che non sono però quelle, stupide, inflitte dal padre, basate sulla forza e la violenza, ma quelle che lo porteranno ad aprirsi alla vita, con tutti i pericoli, ma anche le ricchezze e le soddisfazioni che questo comporta.

E’ proprio il rapporto tra la vita la morte, tra l’orrore e l’amore e il legame indissolubile che li unisce, ad essere il tema portante di 28 anni dopo. Non c’è vita senza morte, non c’è amore senza sofferenza. In una società come le nostra che vuole bandire la morte dalla propria esistenza, che pretende di farci vivere in eterno, che ci vuole barricati in casa in quartieri residenziali con la sbarre alle finestre e l’allarme antintrusione, Danny Boyle e Alex Garland sembrano volerci dire che la morte è parte intregrante della vita, da accettare, entrambe, contemplare e comprendere.

Inutile fuggire, isolarsi, chiudersi in una campana di vetro, la morte ti troverà anche lì, zombie o non zombie, covid o non covid, delinquenza o non delinquenza. Sembra una frase banale, ovvia, risaputa, ma quanti di noi sanno metterla in pratica?

Personaggio chiave al riguardo è il medico interpretato da Ralph Fiennes, da tutti ritenuto pazzo, invece l’unico a conservare un briciolo di umanità in un mondo disennato e selvaggio, l’unico a rispettare la vita in ogni sua forma e a trovare nella celebrazione della morte una via di consolazione e di consacrazione  della vita stessa.

Memento mori. Una frase che è la più grande e la più difficile fra le lezioni di vita. Solo quando ne avrà appreso il significato più autentico, il percorso del protagonista potrà dirsi concluso. In attesa del sequel, già annunciato. (La recensione del film 28 anni dopo è a cura di Mirko Nottoli)

Una scena del film 28 anni dopo di Danny Boyle | Recensione di Mirko Nottoli

LA SCHEDA DEL FILM 28 ANNI DOPO (t.o. 28 Years Later)

Regista: Danny Boyle – Cast: Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O’Connell, Ralph Fiennes, Alfie Williams, Emma Laird, Erin Kellyman, Edvin Ryding, Christopher Fulford – Genere: Horror – Anno: 2025 – Paese: Gran Bretagna, USA – Sceneggiatura: Alex Garland, Danny Boyle – Fotografia: Anthony Dod Mantle – Durata: 2 h 6 min – Distribuzione: Eagle Pictures – Data di uscita: 18 Giugno 2025 – Il sito ufficiale del film 28 anni dopo di Danny Boyle

Trama: 28 Anni Dopo, il film diretto da Danny Boyle, è ambientato quasi tre decenni dopo che il virus della rabbia è fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche e ha devastato il Regno Unito, mentre è stato respinto dall’Europa continentale. Per contenere i contagi, la terraferma britannica è messa in quarantena, e i sopravvissuti sono stati abbandonati a loro stessi. Tra questi ci sono quelli che hanno creato una piccola comunità autonoma su una piccolissima isola vicina alla costa nord orientale dell’Inghilterra, cui è collegata solo da un passaggio percorribile a piedi con la bassa marea…

GUARDA IL TRAILER UFFICIALE DI 28 ANNI DOPO:

28 Anni Dopo – Dal 18 giugno al cinema – Trailer Ufficiale

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